Per esempio, il numero complessivo dei dipendenti della RAI è quasi il triplo del network preso a riferimento, il quale riesce a sostenere il costo complessivo del personale, pur dichiarando ricavi complessivi superiori di circa il 10%.
Inoltre balza agli occhi l' enorme differenza tra le voci che compongono i ricavi dei rispettivi bilanci.
La RAI dichiara ricavi per 2.655, 5 milioni di euro provenienti per il 68% dal canone, per il 23% dalla pubblicità e per il 9% da altri ricavi.
Messa a confronto con il network di pari dimensioni si può notare come i ricavi di quest'ultimo pari a 2.893,6 milioni di euro, siano costituiti per ben l' 88% da introiti pubblicitari.
Non ci risulta che ci siano però sostanziali differenze tra gli spazi utilizzati per la pubblicità in entrambi i palinsesti.
Sorgono dunque spontanee alcune domande:
- Per quale motivo il cosi detto servizio pubblico ci impone una quantità così rilevante di pubblicità dal momento che l' apporto economico è ridotto rispetto alle necessità di bilancio?
- Perché, nonostante il numero di dipendenti ( quasi 13.000 ), la RAI necessita di collaborazioni e di acquistare prodotti audiovisivi da società esterne?
- Per quale motivo strapagare i diritti format e trasmissioni nate e sviluppate attraverso propri mezzi, strutture e personale e che anche per merito di questi hanno potuto avere il successo registrato?
- Perché si continua a rincorrere auditel e share invece di ottemperare al compito fondante che i nostri padri costituenti le avevano affidato e cioè di comunicare obiettivamente, arricchendo l' informazione di contenuti ed insegnamenti?
- Per quale motivo, nonostante la proposta sia sul tavolo da molti anni, non si proceda ad una privatizzazione di due reti a cui affidare la parte commerciale, mantenendo per una il piano informativo e ricalibrando il canone?
E per il momento ci fermiamo qui.